Forse c'è da temere di fronte all'abuso che si fa del concetto di bene comune. Di che bene si tratta? Il bene e il male? Questo è un bene questo è un male? Lo star bene e lo star male? Lo faccio per il tuo bene? I buoni e i cattivi? Gli angeli e i diavoli? Chi mi vuol bene e chi mi vuol male? Non è per pregiudizio, ma sembra proprio di vedere piuttosto una congiura in atto esattamente a danno dei beni comuni (pl.). Si gioca sull'equivoco linguistico per trasformare l'etica marxista dei beni comuni, ossia risorse condivise da una comunità, in una pappa stucchevole con cui far trangugiare i soprusi e allontanare da una chiara visione delle cose. Dal bene comune al 'mal comune, mezzo gaudio' del resto il passo è breve. Meglio allora districare dalla melma il nobile concetto di beni comuni e pensare a quanti costi sociali sono stati necessari per realizzarli! Beni: precisi, numerabili elementi di ricchezza (risorse naturali, prodotti o servizi) definiti con nome e cognome: l'aria, l'acqua, la casa, la scuola, l'asilo, il lavoro, i trasporti, l'igiene pubblica, le medicine, gli ospedali.... ! Beni comuni, da condividere: risorse che devono appartenere a tutti. Beni reali quindi, che la Comunità deve provvedere a: - a) costruire,
- b) tutelare,
- c) rendere accessibili a tutti.
L'attuale tanto frequente insistere su un imprecisato bene comune puzza di bruciato lontano un miglio e finisce per essere come una subdola minaccia all'esistenza stessa dei beni comuni. E' solo un'opzione linguistica, un'accezione più leggera, una generalizzazione soft dello stesso concetto o è una trappola cui occorre non prestare il fianco? Un trappolone, viene francamente il sospetto, teso da trent'anni a questa parte per smantellare una dopo l'altra le conquiste del dopoguerra. Attenzione alle parole quindi, perché non vengono mai usate (o abusate) a caso.
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